La terapia con Vemurafenib, un inibitore della forma mutata dell’enzima BRAF, assicura una riposta del quasi 50% nei pazienti affetti da melanoma metastatico caratterizzato dalla mutazione tipica V600E.
Il trattamento con questo agente può causare una serie di effetti collaterali, principalmente cui disordini proliferativi dei cheratinociti come il carcinoma a cellule squamose. Anche a concentrazioni bassissime, il farmaco può infatti attivare a livello epidermico la forma nativa della proteina RAF, un importante regolatore del ciclo cellulare, la quale, in combinazione con una forma mutata del partner molecolare RAS può a sua volta promuovere una crescita incontrollata dei cheratinociti.
Nonostante le mutazioni capaci di attivare BRAF insorgano approssimativamente nel 50% dei melanomi, queste alterazioni sono ancora più frequenti nei nevi melanocitici.
Nel presente studio, pubblicato sulla rivista Archives of Dermatology, i ricercatori della Georg-August-University di Göttingen hanno presentato un caso di un paziente con cambiamenti dinamici di nevi melanocitici documentati attraverso dermoscopia digitale sequenziale durante il trattamento con il farmaco vemurafenib.
In particolare, gli autori hanno osservato che i nevi presentavano un’involuzione e tutti originariamente erano caratterizzati dalla presenza centrale di un pattern globulare elevato papillomatoso. Inoltre, i nevi preesistenti aumentavano di dimensioni e nella pigmentazione, fino a divenire atipici. Tali lesioni si presentavano piatte e mostravano un pattern reticolare al momento della prima osservazione. Infine, numerosi muovi nei comparivano durante il follow-up della terapia. Entrambi i campioni di queste due presentavano BRAF in forma nativa.
Secondo gli autori, il riscontro di nevi che mutano il proprio aspetto suggerisce la necessità di condurre analisi dermatoscopiche regolari e sequenziali durante la terapia con vemurafenib.